Fede “incarnata”
Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di riflettere sulla specificità della fede cattolica rispetto alle altre religioni. La nostra non è una religione, un’ideologia, ma è una fede cioè è un incontro, un’esperienza personale concreta dentro la nostra quotidianità. È l’incontro con un uomo, con Gesù, che trasforma la tua vita un po’ alla volta, con tatto, tenerezza, delicatezza. Rispetta i tuoi tempi. È una fede concreta, ripeto, che nasce dalla “frequentazione” di un uomo in carne ed ossa: Gesù.
Dio si è incarnato, e si è incarnato nel grembo di una donna, Maria, l’Immacolata, per farsi uno di noi, e stare con noi. È venuto ad abitare tra le nostre case, a prendere dimora nel nostro cuore, a vivere la nostra vita feriale, fatta di lavoro, preghiera, difficoltà, dolore, gioia. Gesù ha condiviso la nostra esperienza terrena per portarci a condividere la sua esperienza divina.
Per trent’anni è vissuto come uno di noi. Ha vissuto l’esperienza della famiglia con Maria, la madre, e con Giuseppe, il padre. Che cosa si dicevano, quali difficoltà incontravano, che figlio è stato Gesù e che genitori sono stati? Maria è presentata da Luca come una donna che ricorda e medita continuamente «tutte le cose» riguardanti il Figlio (Lc 2,19.52). Gesù rimane anche per Maria un enigma, che nessun laser potrà completamente penetrare, un mistero incomprensibile ma che si rivela poco per volta sotto la luce dello Spirito: «Quanto succedeva era così misterioso che Maria doveva scrutarne continuamente il senso e mano a mano che ne sondava le profondità anche il suo cuore si approfondiva».( F.-X. Durwell, Maria. Meditazione davanti all’icona, Assisi 1992, 57). Sicuramente è stata una famiglia “speciale”, che ha vissuto però anche le dinamiche tipicamente familiari: il lavoro, la preghiera, il dolore, l’ansia, il dubbio, l’incomprensione…
La parola chiave della nostra fede non è quindi l’astrazione, ma è la “concretezza”. Dio ha parlato il nostro linguaggio per farsi capire. L’Onnipotente, creatore del cielo e della terra si è fatto neonato, bambino, adolescente e Uomo, in una famiglia.
E qui emerge la figura di Maria, la Madre di Dio. «Ecce concipies in utero» (Lc 1, 31-33): concepirai nel tuo utero, scrive l’evangelista. Donna di fede che nel dialogo con l’angelo usa l’intelligenza e pone domande (Lc 1, 29-38): chiede come sia possibile, dicendo «non conosco uomo». L’angelo dà risposte. E lei, liberamente, fa l’atto di fede. Lei domanda il senso e il modo. Non lo fa per poca fede ma perché la fede deve usare tutta la ragione e poi trascenderla. La Madonna non ha dubitato nella fede e, dopo quel consenso, la sua fede è cresciuta ancora di più. San Bernardo abate, descrivendo la trepidazione con cui tutto il genere umano, prostrato alla sue ginocchia, attende la risposta liberatoria di Maria, le rivolge questa supplica: «Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore» (Omelie sulla Madonna). (La grandezza della maternità: nella Madonna e in ogni donna (F. Gualdani).
“Il Verbo si fece carne” è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime». (Benedetto XVI, Udienza generale, 9 gennaio 2013). E’ l’Incarnazione infatti la causa prima, gigantesca e inaudita, da cui poi scaturiranno la Passione e la Resurrezione: i quali sono effetti che partono dall’Incarnazione. Edith Stein rifletteva in modo simile: «ho sempre pensato – e forse è un azzardo – che il mistero dell’Incarnazione sia più grande di quello della Resurrezione. Perché un Dio che si fa bambino, e poi ragazzo, … e poi uomo, quando muore non può che risorgere». E anche don Giussani affermava che la vera domanda attorno a cui ruota tutta la fede non è “se Dio esiste” ma “se davvero Dio si è incarnato.
Invece l’Incarnazione è un Avvenimento eterno, provato dal fatto che Gesù, risorto, è tornato in mezzo ai suoi a farsi toccare nella carne e a mangiare con loro (Lc 24, 39-43; Gv 20, 27). E nel momento dell’ascensione, cioè al compimento della sua missione terrena, con la propria corporeità ha riconciliato a Dio la natura umana: riconsegnandola guarita nella sua completezza, corpo e anima, al Padre. San Leone Magno descrive mirabilmente questo momento in cui «la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre», quando gli apostoli stupefatti di gioia «contemplavano la natura umana mentre saliva ad una dignità superiore a quella delle creature celesti. In questo discorso, san Leone Magno precisa un’altra cosa importante: i giorni trascorsi tra la risurrezione e l’ascensione sono serviti al Signore per una serie di interventi con cui volle rinfrancare e infiammare nella fede i discepoli che «avevano trepidato per la tragedia della croce ed erano dubbiosi nel credere alla resurrezione». Il suo scopo era «insinuare negli occhi e nei cuori dei suoi», attraverso «l’evidenza della verità», che il Signore Gesù Cristo «era veramente resuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente morto».
La Chiesa ci insegna, in definitiva, che Gesù è venuto a salvare non soltanto la nostra anima ma tutta la nostra persona. Ha preso la nostra carne per rigenerarla inchiodando sulla croce il nostro peccato e la morte. San Gregorio Nazianzeno parla di questo “meraviglioso scambio” spiegando che il Verbo di Dio «si fa uomo per amore dell’uomo. Assume un corpo per salvare il corpo e per amore della mia anima accetta di unirsi ad un’anima dotata di umana intelligenza. Così purifica colui al quale si è fatto simile» (Discorsi).
Bisogna sottolineare il ruolo di Maria nel grande mistero dell’Incarnazione e la portata salvifica della sua maternità, il rapporto inscindibile tra Gesù e Maria. Nella Chiesa santa occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi. Questa unione della madre col figlio nell’opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di lui (Lumen gentium 57).
Concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, coll’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia (Lumen gentium 61).
Concretezza è la parola d’ordine, e più concreto, mi permetto di dire, dovrebbe essere il linguaggio di molti santi sacerdoti che spesso spiritualizzano il messaggio di Gesù.
Fam. Rog Napoli