Mattutino di speranza
14 giugno 2020
Perché insieme con il corpo fosse nutrito anche il nostro spirito, Gesù lasciò sulla terra se stesso come cibo e bevanda di vita, presenza viva e reale sino alla fine dei tempi. Il mistero dell’Eucaristia che si riattualizza in ogni parte della terra nella celebrazione della santa Messa come rendimento di grazie per eccellenza, riproduce l’evento del Cenacolo di Gerusalemme quando il Maestro, dopo aver lavato i piedi agli Apostoli e prima di compiere la sua dolorosa passione, istituì il patto della nuova ed eterna alleanza nel segno del pane e del vino dati loro a mangiare e a bere. Questo mistero della fede, tra i più difficili da credere, si rinnova ogni giorno sull’altare nel momento della consacrazione, per la mediazione del sacerdote cui è affidato questo compito di grande responsabilità. La materia del pane e del vino per la potenza dello Spirito Santo si trasforma nel corpo e sangue di Cristo. Sotto gli occhi del sacerdote, stupefatti ed inebetiti per tanta grandezza e tanto avvolgente mistero, avviene il grande miracolo della transustanziazione. Le mie labbra impure pronunziano le stesse parole di Cristo, parole che trasformano, parole che realizzano il più grande e ripetuto miracolo. Dalle palme delle mie mani stese sulle offerte, si sprigiona un fuoco percettibile che copre le particole sottostanti e si adagia nel calice del vino. La materia è fecondata e trasformata. Le mie mani ogni volta tremano ma non di paura, quando si uniscono alla voce che, distinta e chiara, pronunzia con cadenza misurata le parole di Gesù: «Prendete, mangiate. Prendete, bevete!». Tutto tace attorno: sono avviluppato in una nube che mi distacca dalla realtà circostante e mi isola in una colonna di luce. I miei occhi contemplano il mistero che si rinnova. Il mio cuore sobbalza di incontenibile gioia mista al grande timore che diviene adorazione profonda. La mia fede, tutta ancora da maturare, viene chiamata ad andare oltre i sensi limitati ed a cogliere il grande miracolo, sempre nuovo, sempre avvincente, sempre più carico per me di responsabilità. In quel momento non sono più io che vivo ed opero: Cristo vive in me, Cristo opera in me ed attraverso me. Quando poi le mie mani innalzano con riverente adorazione il corpo di Gesù velato in quel pezzo di pane, il calice del vino col sangue di Cristo e li mostrano all’assemblea, tutti adorano. Il silenzio è totale, rotto solo da qualche bisbiglio di preghiera di adorazione e soffocati singulti di pianto e di viva commozione. Con gli occhi della fede vedo gli Angeli che attorniano l’altare e che sorreggono le mie braccia, cadere estatici, e adorare genuflessi l’infinita grandezza di Dio che si fa piccolo in un minuscolo pezzo di pane che non è più pane, dentro gocce di vino che più vino non è. Meravigliosa invenzione di un amore grande ed eccelso. Ed ogni giorno è così, ogni S. Messa è così, da 40 anni! Che mistero insondabile affidato ad una povera mente ed a deboli mani che confezionano e toccano il Signore; cuore e mani intrise di profonda umanità e sporche di materialità e di peccato; cuore, mente, mani e corpo che reggono e fanno da trono alla grandezza del mistero di Dio; mani che impastano la debolezza umana con l’acqua del battesimo, che amalgamano la farina del lavoro e dell’affanno quotidiano con le lagrime degli occhi ed il sudore della fronte, sulla tavola della storia e della vita mia, della vita di tanti che di me si fidano ed a me si affidano. Le mie lagrime si mescolano con l’acqua, la mia povertà fa tutt’uno con la farina, assunta e trasformata in preziosità. Nel forno della tribolazione col fuoco della sofferenza si cuoce quel pane senza lievito, destinato a nutrimento ed a medicina dell’anima e del corpo. Chiamato ad essere sacerdote, sono impegnato a vivere per Cristo e per i fratelli. Nel cuore vibra il sussurro di una voce che mi ripete: «Se mangi di me, vivi per me!» (cfr. Gv 6, 57). Allora mi sento avvolto da una pace sorprendente, da una gioia straordinaria che mi solleva dalla mia prostrazione e da ogni cocente delusione. Comprendo ancora più profondamente che è onore grandissimo poter celebrare l’Eucaristia e non mi rendo conto di come faccio a vivere, dopo aver celebrato! La gioia si amplifica e si dona quando distribuisco il Pane degli Angeli agli uomini e alle donne affamati di verità, assetati di giustizia, di carità, di salute, di lavoro, di risposte, di amore; quando prolungo l’adorazione nel tabernacolo del mio corpo con la gratitudine e l’offerta delle persone, il bene più prezioso; quando offro Gesù pane di vita all’ammalato, quando lo do in cibo a chi lo teme, all’anima riconciliata nel sacramento del perdono; quando lo porto per le strade per benedire le case, le famiglie, gli ambienti di lavoro, i passi dell’esistenza, le vite di chi non crede, di chi lo rifiuta. Il pane è tale perché deve essere mangiato. Il vino è tale perché deve essere bevuto. Mi rendo sempre più conto che quei chicchi di grano macinati sotto la pesante mole della responsabilità sacerdotale e quegli acini d’uva premuti nel torchio stridente della sofferenza anche nascosta, sono la mia vita. Chiedo al Signore ogni giorno di diventare pane che si spezza e si dà a mangiare, vino che si versa e si offre a bere. A chiunque. Senza alcun mio merito, ma solo partecipe della immensa dignità sacerdotale e della passione di Cristo che si rinnova anche nella mia carne. P. Angelo Sardone