La semina del mattino
1342. «Dio pronunciò tutte queste parole» (Es 20,1).
Al terzo mese dell’uscita dall’Egitto il popolo di Israele giunse al monte Sinai. Qui cominciò un rapporto dialogico e relazione ancora più intenso tra Dio e Mosé. Il condottiero investito della grande responsabilità di condurre il popolo ebreo nella Terra Promessa, fu costantemente in ascolto delle parole di Jahwé per riferirle al popolo e divenne ancora di più suo unico interlocutore. Saliva e scendeva dal monte per ascoltare Dio e riferire poi ogni cosa al popolo. A questo punto storico e narrativo, il libro dell’Esodo colloca il dono dei Comandamenti, le «dieci parole», il cuore stesso della Legge. Secondo due delle Tradizioni alle quali si rifanno i testi sacri, il contenuto dei Comandamenti viene narrato in forma più estesa nel cap. 20,2-17 dell’Esodo secondo la tradizione «elohista». Più stringata ed essenziale, costituita da singole espressioni senza commento, per essere facilmente ricordata, è la formulazione riportata nel libro del Deuteronomio al cap. 5,6-21, secondo la versione che viene detta «deuteronomista». L’essenza dei Comandamenti sta nelle dieci parole che saranno incise dal dito stesso di Dio su due tavole di pietra, per essere poi incise sulle tavole del cuore: «Dio ha scritto sulle tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere nei loro cuori» (Sant’Agostino). Questi precetti guidano i passi dell’uomo verso la libertà, nel cammino di liberazione dalla schiavitù del peccato e sanciscono l’alleanza con Dio: «Pongono i fondamenti della vocazione dell’uomo, vietano ciò che è contrario all’amore di Dio e del prossimo, e prescrivono ciò che gli è essenziale» (CCC, art. 1962). P. Angelo Sardone