1419. «Vi ho chiamati per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena»

La semina del mattino

1419. «Vi ho chiamati per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena» (At 28,20).

Il libro degli Atti degli Apostoli proclamato nella Liturgia, arriva alla sua conclusione saltando la narrazione del viaggio di Paolo a Roma, la tempesta ed il naufragio, il passaggio per l’isola di Malta, l’approdo a Siracusa, l’arrivo a Reggio, quindi a Pozzuoli ed infine a Roma. Qui, usufruendo della custodia militare, gli fu concesso di abitare per conto suo in una casa a pigione, avendo un soldato di guardia che gli serrava il polso con una catena. L’Apostolo desideroso di vederli e parlare loro, chiama a raccolta i notabili dei Giudei e, senza troppi preamboli dice loro la ragione del suo arresto e della sua cattività romana. Gli è stata negata libertà, pur non essendoci colpa degna di morte e per questo si è appellato a Cesare. La speranza d’Israele lo tiene legato dalla catena. Non essendosi presentati in tempo gli accusatori, rimarrà per due anni in queste condizioni, continuando ad annunciare con franchezza il regno di Dio e insegnando tutto ciò che si riferiva a Gesù Cristo, senza impedimento alcuno. Le vicende storiche raccontate da Luca, hanno raggiunto il loro scopo. Di lì a poco, sotto l’imperatore Nerone sarà martirizzato nella località delle Tre Fontane, testimoniando col sangue la fede nel Cristo che aveva incontrato sulla via di Damasco, in visioni numerose e nel viso di coloro ai quali l’aveva predicato. Per tanti apostoli moderni, anche senza il martirio cruento, spesso si conclude così un’intera vita posta al servizio della Parola e del Regno di Dio, vittime dei soprusi umani, esaltati dalla potenza della grazia e del comune riconoscimento. P. Angelo Sardone