1466. «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare»

La semina del mattino
1466. «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare» (Am 7,12).

Il canone ebraico della Bibbia definisce il suo ultimo libro come «i dodici» perché comprende dodici libretti di dodici diversi profeti secondo la loro successione storica. Uno di questi è Amos, pastore di Tekoa nei pressi del deserto di Giuda. Stava dietro il suo gregge quando fu preso dal Signore ed inviato a profetizzare. Il primo servizio lo fece presso il santuario scismatico di Betel. Qui ebbe tre visioni che riguardavano le cavallette che divoravano l’erba spuntata dopo la raccolta, la siccità che divorava la campagna ed il filo a piombo utile per costruire. Le sue parole risultavano contrarie alla casa reale ed insopportabili ad Amasia, il sacerdote del luogo, che nella sua invettiva caccia il profeta definendolo visionario e gli ingiunge di andarsene in Giuda. Là potrà guadagnarsi il pane facendo il profeta. A Betel non c’è posto per lui, perché la sua parola è talmente efficace che le cose dette sono la causa delle sventure del re e della sua casa. La risposta di Amos non si lascia attendere: con chiarezza e fermezza afferma che non era profeta né figlio di profeta, ma era stato chiamato direttamente dal Signore di dietro il bestiame per profetizzare al popolo d’Israele. Spesso nella vita dei ministri ordinati, come anche dei semplici fedeli, si rinnova lo stesso cliché: chiamati da tutt’altro contesto dal Signore si è mandati ad annunciare la sua Parola che può risultare scomoda, in ambienti nei quali si desidera non essere disturbati, anche nell’assurda situazione del malessere. Le risposte ferme e decise, devono servire per azzittire e difendere il proprio ruolo, forti della chiamata ricevuta. P. Angelo Sardone