1468. «Verranno giorni in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme. Muterò le sorti del mio popolo Israele»

La semina del mattino

1468. «Verranno giorni in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme. Muterò le sorti del mio popolo Israele» (Am 9, 13-14).

Ciò che poteva sembrare disfatta, in effetti è solo un intervento terapeutico per sanare la mentalità ed orientare i passi del popolo alla fiducia nel Signore. Le parole dure e mortificanti si trasformano in prospettive di restaurazione e di fecondità come paradisiaca. Si tratta di promesse future che prevedono la ricostituzione del regno di Davide, la prosperità materiale simboleggiata dalla ricchezza dei prodotti della terra raccolti in successione vertiginosa di tempo e la stabilità residenziale nella propria terra. La prospettiva non è solo ristretta a quei tempi ma, secondo l’interpretazione degli studiosi, è universale e fa riferimento al mondo intero ed ai tempi propizi della salvezza. La conclusione del minuscolo libretto del profeta Amos, nove capitoletti appena, ridona speranza agli esuli, agli ebrei travagliati nella loro infelicità dovuta all’infedeltà ed al potere corrotto di sfruttatori. Una conoscenza adeguata di questo pezzo di storia dell’VIII secolo a.C. fa luce anche sulla storia post moderna ed attuale nella quale la Chiesa è chiamata ad essere ancora faro di luce sulla penombra o sul buio fitto delle scelte e dell’andazzo della società, soprattutto in Europa che, da cristiana si sta letteralmente sfaldando e scristianizzandosi, con l’azzeramento dei valori più naturali e l’asservimento alle ideologie filosofiche e politiche che seguono la corrente del vento favorevole. Figure simili ad Amos ce ne sono anche nei nostri ambienti, coerenti e coraggiosi: ma chi li ascolta? P. Angelo Sardone