1483. «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere»

La semina del mattino

1483. «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere» (Ger 23,1-2).

Geremia era nato ad Anatot da una famiglia sacerdotale. Pur trovandosi in un periodo di relativa calma, la sua vita si concluse negli anni travagliati in cui avvenne la distruzione di Gerusalemme. In una piccola sezione di oracoli messianici, la terza dell’intero suo libro, con un linguaggio figurato il profeta inveisce contro i pastori, cioè i capi sia religiosi che civili, gli ultimi re discendenti da Davide e profeti, che nel loro governo facevano perire e disperdevano il gregge del Signore. Il gregge non è di loro proprietà, ma appartiene al Dio di Israele. Essi compiono azioni malvage: invece di prendersi cura del gregge e delle singole pecore, le hanno scacciate, disinteressandosi di loro. Per questo sarà lo stesso Dio ad intervenire, andando lui stesso a cercare le pecore da ogni parte, per radunarle e renderle nuovamente feconde. Il posto degli antichi pastori sarà preso da nuovi che si occuperanno in maniera adeguata del gregge e lo faranno prosperare. Si tratta dell’antica e sempre nuova situazione nella quale si trova il gregge di Dio quando è amministrato da pastori indegni ed infedeli che procurano solo il loro pascolo personale disinteressandosi completamente delle pecore loro affidate. Nella società, come nella Chiesa pastori non si nasce, si diventa! Non basta l’elezione, l’ordinazione sacerdotale o episcopale, il suffragio universale espresso con preferenze e voti per essere all’altezza della situazione e realizzare la missione. Bisogna mettersi umilmente accanto ad altri pastori, quelli secondo il cuore di Dio, per apprendere l’arte pastorale e metterla al servizio del gregge. P. Angelo Sardone