1487. «Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi»

La semina del mattino
1487. «Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7).

Nel descrivere agli abitanti di Corinto le tribolazioni e le speranze insite nel suo ministero di Apostolo, S. Paolo adopera questa bellissima immagine-espressione. Essa è divenuta classica per descrivere la grandiosa dignità e l’evidente fragilità umana del ministero apostolico e sacerdotale. Chiunque è insignito del dono grande dell’identità sacerdotale ed episcopale, porta in sé la precarietà della dimensione umana impari alla chiamata ricevuta. La vita e l’opera dell’apostolo Giacomo, il maggiore, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo, si inquadra in questo tema di alto valore e sconcertante verità. Dal mestiere di pescatore di pesci passò a quello di pescatore delle anime. Mantenne in sé il carattere focoso di chi è ardito e radicale, tanto da essere denominato con suo fratello direttamente da Gesù «figli del tuono». Presente insieme con Giovanni e Pietro ai maggiori avvenimenti della vita e dell’opera di Gesù, una delle colonne portanti della Chiesa di Gerusalemme, fu il primo apostolo a morire martire per la fede, l’anno 42, come documentano gli Atti degli Apostoli. Tradizioni e leggende lo vogliono predicatore del Vangelo nella terra di Spagna, dove il suo corpo fu prodigiosamente portato e seppellito a Santiago de Compostela, celebre meta fin dal medioevo, di pellegrinaggi a conclusione del cosiddetto «cammino di Santiago». Auguri a tutti coloro che ne portano il suo nome, perché testimonino con coraggio ed ardore la fede che professano in Cristo Signore. P. Angelo Sardone