1533. «La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua»

La semina del mattino

1533. «La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua» (Is 35,7).

Il minuscolo capitolo 35 del profeta Isaia canta in dieci versetti il trionfo di Gerusalemme. Insieme a quello precedente è solitamente detto «piccola apocalisse». Il giudizio generale di Jawhé contro le nazioni diviene una condanna contro Edom ed i suoi abitanti, gli Idumei che si erano mostrati particolarmente ostili al Regno di Giuda ed avevano approfittato delle sue disavventure, massima la sua capitolazione il 587. Ad essa fa da specchio il canto del trionfo della sua capitale, Gerusalemme. I suoi abitanti sono invitati ad avere coraggio, a non temere perché tutto cambierà. La poesia biblica si sbizzarrisce descrivendo con proprietà di linguaggio le nuove situazioni che si determineranno: gli occhi dei ciechi si apriranno, così le orecchie dei sordi. L’articolazione dello zoppo tornerà normale e la lingua del muto griderà. Sarà coinvolta anche la natura: la terra bruciata dalla siccità diventerà una palude e dal suolo riarso sgorgheranno sorgenti di acqua. In parallelo a questo evento storico che fu drammatico per il popolo di Israele che subì due deportazioni a Babilonia a distanza di 10 anni, si colloca la storia anche dei nostri tempi, funestata da novelli Nabucodonosor che in poco tempo, nelle diverse collocazioni geografiche, sistematicamente si muovono per distruggere l’afflato e l’apparato religioso che caratterizza da sempre soprattutto l’Occidente, tentando di sradicare tutto ciò che vi è di sacro e di naturale. La speranza cristiana sollecitata dalla fede dei semplici e degli obbedienti alla voce del Signore, fa vedere anche oggi i miracoli sconvolgenti di una terra riarsa dalle fauci roventi di un modernismo esasperato, che diviene una palude o di un suolo calpestato da piedi sprezzanti, che fa sgorgare dalla sua profondità fresche acque, limpide e salutari. P. Angelo Sardone