Mattutino di speranza
21 giugno 2020
Il giardino di Dio è ricolmo di fiori colorati e profumati. Tra essi si distinguono i gigli. Con il loro profumo intenso ed il colore bianchissimo dei petali richiamano la bellezza ed il valore della purezza della mente, del corpo, della vita. Il giardino dei Santi, uomini e donne, piccoli e grandi, ricchi e poveri, laici e consacrati, fiori variegati che si possono ammirare e raccogliere nella Chiesa dove sono nati e coltivati per essere poi trapiantati in cielo, è ricco di gigli. Dio ha configurato la creazione dell’uomo in un giardino nel quale, con la varietà degli alberi, dei frutti, dei fiori, ha voluto esemplificare il suo ciclo vitale dalla piantagione, alla crescita, alla raccolta dei frutti. Il seme della vita è stato da Lui destinato ad un terreno che l’accoglie, lo nutre, lo fa spuntare e l’affida al calore del sole ed al vigore nutritivo della pioggia. Man mano che cresce come un fiore, l’attenzione costante e perseverante dell’agricoltore e la mano esperta del potatore, provvedono ad accompagnare lo sviluppo sistematico prima dello stelo, poi delle foglie, fino alla maturazione ed alla raccolta del frutto. La vita spirituale ha un processo pressocché analogo. Il Signore immette nel grembo fecondo della donna, a seguito di un atto di amore e di reciproca donazione con l’uomo, il seme della vita che dà forma e vigore al corpo umano. Esso si configura in brevissimo tempo negli elementi che contraddistinguono sin dal concepimento, il suo essere, la sua persona, la sua dignità. La nascita alla luce è come lo spuntare dal silenzio e dal buio rassicurante e protetto del grembo materno e l’immersione nella realtà della terra con gli elementi che assicurano la crescita: l’aria, la luce, l’acqua, il nutrimento. Il sacramento del Battesimo apre alla vita spirituale e colloca il nuovo figlio di Dio, reso tale nel mistero della morte e risurrezione di Gesù, nel giardino delle virtù e nel percorso di santità affidato alla sua responsabilità ed al ministero santificante della Chiesa. Tante volte nell’immensa sua fantasia di amore, il Signore si diverte quasi ad immettere nella vita di alcune persone che rende perciò uniche e straordinarie, elementi sorprendenti di risposta al suo amore e di realizzazione della propria esistenza. Non ci sono solamente i geni dell’arte, della scienza, della sapienza umana, dotati di intelligenza straordinaria e forniti di talenti fuori della normalità nella interpretazione delle leggi della natura e nella loro esemplificazione per il bene dell’umanità. Ci sono anche i geni della santità, dotati sin dalla tenera età di elementi particolari finalizzati ad un percorso diverso, con la possibilità di far diventare eroico e straordinario tutto ciò che è normale. Mi hanno sempre affascinato le note storiche e documentali che fanno da corredo alla vita dei Santi di tutti i tempi ed attestano il cammino di crescita e progresso in Dio. Oggi torna alla mente particolarmente la testimonianza di Luigi Gonzaga, un santo giovane, ricco e nobile di casato, dotato di intelligenza, di umanità e soprattutto di quella “sapienza dall’alto” ha contaminato l’intera sua vita. Non è normale umanamente che un fanciullo di appena 10 anni coltivi pensieri di amore grande per Dio e la Vergine Maria fino ad affidare loro il suo corpo, la sua vita in un ambiente particolare e difficile come quello di una corte nobiliare immersa nella vita mondana, con interessi di prestigio e di potere, con vistosi limiti umani e spirituali, compresi i tanti pericoli, orientando invece la propria vita alla preghiera, alla penitenza, al distacco dalle cose del mondo fino alla rinunzia al marchesato a Mantova ed alla scelta della consacrazione a Dio nella Compagnia di Gesù a Roma. La sua esistenza fu immersa in Dio, come egli stesso confessa: «con la mente sempre raccolta in Dio, perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena». Luigi tesseva la sua vita in Dio, ma non viveva di aria o di fantasiose ed oniriche elucubrazioni spirituali. Aveva grandi interessi per gli studi della teologia, per la condivisione della vita comunitaria, per la carità verso i bisognosi ed i tribolati. La prova ultima di un’autentica santità fatta di servizio eroico di carità verso i fratelli, gliela offrì il Signore stesso nelle vicissitudini storiche ed ambientali della città di Roma di fine 1500 quando si trovò ad affrontare una dopo l’altra le tragedie della siccità, la carestia, l’epidemia di tifo e la peste. Impegnato personalmente nella cura dei malati, egli contrasse la peste che lo portò inesorabilmente alla morte ad appena 23 anni il 21 giugno 1591, autentico martire della carità. La sua santità non è affatto «inutile e dannosa a imitarsi» come scrisse in maniera sprezzante l’anticlericale Gioberti (1801-1852). Deve essere invece proposta, ed io lo faccio con semplicità e coraggio, come splendida testimonianza di sequela di Gesù e di imitazione delle sue virtù. Lo dico soprattutto ai giovani di oggi certamente dotati di conoscenza, intelligenza e capacità straordinarie, ma talora confusi, spaesati e deviati dal retto intendimento di ciò che è vero, giusto, onesto, pulito. Dinanzi a tanto consumo di materialità, di sporca verbosità e violenza comportamentale, di culto egoistico dell’immagine attraverso i moderni mezzi di comunicazione e dei social, di esposizione del proprio corpo spesso vittima di perversioni e micidiale formazione di pessimi maestri del pensiero e di prassi utilitaristica e godereccia, la testimonianza di un santo giovane, bello, intelligente, affabile ed attraente, può essere una grande risorsa moderna non solo di santità ma di sanificazione delle coscienze e di incitamento a fare altrettanto. «Me ne vado felice» scrisse il Santo alla madre, conscio della prossima conclusione della sua vita. Saremo sicuramente felici anche noi di vivere bene se nelle nostre famiglie, nei nostri ambienti, come diceva S. Annibale, «regna l’illibatezza dell’anima e dei costumi, che sia immacolata la mente, immacolato il cuore, immacolati gli affetti» P. Angelo Sardone.