Mattutino di speranza
25 giugno 2020
Nell’insegnamento evangelico roccia e sabbia sono due elementi comparativi alla saggezza ed alla stoltezza dell’uomo. Gesù, il Maestro, attingendo ai numerosi riferimenti disseminati nella Legge, nei Profeti e nei Salmi, li paragona all’ascolto della sua Parola ed alla traduzione pratica nella vita. L’uso che Egli ne ha fatto è di un alto valore didascalico e fine tratto sapienziale. In natura la roccia e la sabbia sono elementi che, tra le altre cose, si riferiscono alla costruzione di una casa. La sua edificazione e soprattutto la sua tenuta o meno, dipende dal luogo che si sceglie sul quale costruirla: la roccia, che si trova anche a profondità significativa per porre le fondamenta o la sabbia della superficie. La roccia dà stabilità ed è garanzia di tenuta alle fondamenta su di essa fissate, anche sotto la furia dei venti, delle tempeste, della pioggia straripante. Nel linguaggio biblico la roccia evoca l’acqua ed il miele che da essa scaturiscono. Dio è la roccia del cuore, roccia di rifugio, roccia eterna, potente salvezza, che rende sicuri i passi. La sabbia che non ha fondamenta e non può garantire se non qualcosa di momentaneo, rende inutile la fatica e vede inesorabilmente crollare tutto con le medesime condizioni ambientali e metereologiche. La roccia è dura e statica; la sabbia è molle ed instabile (cfr. Pro 27,3). Per quanto la pioggia possa assestarla e renderla più o meno compatta, la sua natura è granulosa e prima o poi col vento o con un urto si volatilizza e tutto ciò che in essa è stato fissato e sembrava apparentemente consistente, cade. I castelli di sabbia non sono quelli che abitualmente si costruiscono sulla riva del mare, trastullo di piccoli e grandi, a volte vere e proprie opere d’arte. Sono anche quelli che si costruiscono con la fantasia, l’entusiasmo immediato, una spiritualità evanescente, la mancanza di esperienza, l’orgoglio, la superficialità. La fiducia in Dio richiede l’abbandono in Lui e la costruzione della propria vita sulla roccia perché il fondamento possa tenere, aggrappato e saldato a ciò che è duro, stabile e sicuro. La manifestazione di una fede viva, sincera, duratura, è quella che traduce in opere quanto è affermato con la bocca. È il Signore che ci stabilisce sulla salda roccia del suo amore e della sua vita divina. Ma è anche l’uomo che consapevole del dono ricevuto e della possibilità a lui offerta, in risposta all’amore di Dio ed alla partecipazione della sua conoscenza, fa in modo che la casa della sua vita, delle sue certezze, della sua felicità, sia costruita, su progetto di Dio e con l’aiuto che viene da Lui e dai tecnici che Egli stesso propone, sulla roccia esemplificata dalla sua Parola che è «viva ed efficace» (Eb 4,12). Il parametro discriminante lo presenta Gesù Cristo stesso: l’ingresso nel Regno dei cieli è conseguente al compimento della volontà di Dio. Lo affermiamo e chiediamo ogni giorno nella preghiera insegnata da Gesù. Ma quanto è difficile credere ed essere perseveranti nella fede proprio perchè essa implica scelte coraggiose, durature, talora impopolari ma che garantiscono un cammino sistematico e la costruzione graduale di un edificio che va verso l’alto. Il facile entusiasmo spirituale, tipico dei neofiti, porta ad una forma di adesione spontanea, gioiosa ma che può rivelarsi momentanea e passeggera perché non ha i connotati di una conoscenza più profonda del Signore, di un approfondimento sistematico e continuo della dottrina, della giornaliera fatica che la fede stessa richiede. Tante volte si conosce il Signore per via di qualche forte esperienza spirituale emotiva, che rivoluziona la vita: un incontro provvidenziale, una confessione ben fatta, un pellegrinaggio sentito e commovente, una terribile sciagura, una forte emozione. Si entra in contatto con una realtà che offre protezione, che determina uno stato di ebrezza spirituale contagiosa, ma che può coprire con uno strato di passeggera emotività, un dramma interiore da risolvere, un vuoto da colmare, una ferita da suturare, un tumore spirituale da asportare. Si entra nel giro di una preghiera ed un affidamento a Dio che ha termini emotivi appaganti ma provvisori. Si entra finanche nella pratica di qualcosa di più impegnativo, nel contrasto con le forze del maligno e finanche nell’attuazione di cose straordinarie che possono sembrare miracoli. Ciò non basta anzi può diventare oggetto di discriminazione da parte del Signore. Il suo atteggiamento e le sue parole al riguardo sono terribili, molto forti ed anche disorientanti, fanno tremare: «Non ti ho mai conosciuto! Allontanati da me perché sei operatore di iniquità» (Mt 21,23). Questo avviene quando ci si basa solo sul sensazionale, sulla semplice emotività, sul “mi piace”, “ci sto bene” e facilmente si cerca di accomodare la pratica dura della fede al facile e temporaneo sentimento che può rivelarsi senza fondamento. L’iniquità nel senso biblico, è corruzione del pensiero, perversione di un atto, anche quando ha la parvenza di opera buona. Operatore di iniquità è chi semina zizzania, chi proclama false verità, chi è ipocrita ed inconcludente, chi va alla ricerca del sensazionale e dell’effimero, anche se compie opere apparentemente buone che talora servono solo a mascherare e coprire malvagità e perversione del pensiero. «Le vostre iniquità hanno scavato un solco fra voi e il vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto per non darvi più ascolto» (Is 59,2). Le iniquità portano via come il vento (Is 64,5), perché «Ogni peccato è iniquità» (1Gv 3,4). Se non saremo fondati sulla sabbia arida del nostro orgoglio e della superficialità anche spirituale, potremo stabilmente fondare la nostra vita e la nostra casa sulla roccia viva dell’amore di Dio, roccia da cui siamo stati tagliati (Is 51,1) e bere la bevanda spirituale da quella roccia che accompagna il cammino nel deserto della vita. Quella roccia è Cristo (1Cor 10,4). P. Angelo Sardone