La semina del mattino
649. «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3).
Il secondo Canto del Servo di Jahwé si collega e riprende il tema del primo. Si caratterizza particolarmente come esposizione della sua missione. La chiamata è situata all’origine del tempo; il nome identifica il suo ruolo di predicatore con una lingua simile ad una spada affilata e ad una freccia appuntita. Questi strumenti di morte evidenziano l’attualità e l’efficacia della sua Parola destinata non solo al popolo di Israele ma a tutte le genti, qui evocate dalle isole e dalle nazioni lontane. L’identità di servo viene affermata solennemente da Dio e fa parte integrante della sua missione salvifica: su di lui si manifesterà la gloria. Nell’accezione di S. Giovanni la gloria e l’esaltazione del Servo consistono nella crocifissione prima e poi nel trionfo della risurrezione. Questa dinamica di gloria passa anche attraverso l’insuccesso, l’inutilità della fatica ed il logorio delle forze, quasi la presa di coscienza di una fragilità umana che soccombe dinanzi alla prepotenza dei forti ed all’assurdità di una passione cruenta e di una morte infame. Il compimento di tutto sarà comunque la vittoria sul peccato e sulla morte, opera congiunta del Figlio obbediente e del Padre che con la sua onnipotenza onora grandemente il Figlio. Il passaggio dall’identità di servo a quello di luce è un connotato che S. Giovanni evidenzierà nel suo vangelo. Le prerogative messianiche di Cristo sono ben delineate nel Servo di Jahwé. Queste realtà si riflettono sul popolo credente, su ciascun cristiano, chiamato a condividere la gloria di Dio passando attraverso la passione di Cristo. P. Angelo Sardone