880. «Venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5).
L’invito ricevuto in visione da Isaia con la profezia su Giuda e Gerusalemme, costituisce l’incipit della prima parte del lungo libro che va sotto il suo nome e, particolarmente, gli oracoli del grande profeta del 745 a.C. prima della famosa guerra siro-efraimita (732 a.C.). Concretizza l’immagine del tempio, saldo sui monti, sicuro riferimento di tutte le genti che imparano la via giusta e percorrono i sentieri buoni della legge e della Parola di vita. L’itinerario è di grande e sicura speranza perché prevede ambienti e situazioni di tranquillità e di pace espressi dalle suggestive immagini di spade che diventano aratri per coltivare la terra, di lance che si tramutano in falci per mietere. Viene bandita la guerra ed instaurata l’epoca della pace duratura. Ciò che dà senso al cammino, seppure difficoltoso a causa dell’asperità del terreno e della salita verso il monte, è la luce del Signore che inebria il buio ricorrente dell’uomo e gli indica la sicurezza del suo passo. La ricca simbologia scritturistica e liturgica aiuta a comprendere la grandezza del tempo di avvento. La venuta del Signore, intermedia, come la definisce S. Agostino, perché posta tra la prima come bambino nato da donna e l’ultima come giudice alla fine dei tempi, si pone in stretta coincidenza con il nostro andare verso di Lui. Il movente in entrambi i casi, soprattutto da parte dell’uomo, deve essere di amore. Il Creatore viene incontro alla creatura e si riveste di umanità: l’uomo va incontro al suo Dio e da Lui viene rivestito di divinità. Non sono solo alti concetti teologici, ma soprattutto determinazioni ed evidenze di amore. P. Angelo Sardone