Mattutino di speranza. Venerdì 22 maggio 2020
La santità è l’abilitazione alla vita eterna. Il cristiano, il battezzato ha ricevuto sin dall’inizio della sua seconda vita, quella spirituale, un compito ben preciso: camminare lungo la strada che lo porta ad essere santo come Dio è santo. L’ingiunzione che viene dallo stesso Creatore: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2), mentre da una parte fa avvertire il paradosso, dall’altra nutre il cuore di speranza certa che la santità e la santificazione sono a portata di tutti, nella misura in cui ciascuno si lascia plasmare dalla grazia santificante e risponde con generosità alla sua chiamata (Rom 1,7). Non può essere diversamente. Nasciamo da una stirpe santa, siamo un popolo santo separato da altri popoli per appartenere a Dio, viviamo, cresciamo e ci formiamo tra e con le cose sante. Nell’immaginario comune il santo, la santa sono esseri superiori, superdotati, uomini e donne del passato, fuori dal comune che per un singolare privilegio hanno realizzato una vita straordinaria e fanno miracoli più o meno grandi. Per la Verità rivelata i Santi sono coloro che custodiscono i comandamenti di Dio e la fede in Gesù (Ap 14,12) e perseverano in essi. Dio, il tre volte santo, è “santo di ogni santità” (2 Mac 14,36). Gesù chiama santi i suoi angeli (Mc 8,38). Ai Santi è affidato il giudizio del mondo (1Cor 6,2); le preghiere dei santi salgono al cospetto del Signore col fumo degli aromi nella mano degli angeli (Ap 8,4), cioè con le opere buone. Siamo immersi nella santità, anche se non ce ne rendiamo conto. Siamo circondati da uomini e donne santi, siamo inebriati dal loro profumo fragrante e respiriamo la loro santità come l’aria salubre delle montagne che guarisce il cuore appesantito dalla tribolazione e dal peccato. Conosciamo la santità dei tempi antichi ma anche quella dei santi della porta accanto. Essi ci insegnano che il percorso di santità non consiste nel realizzare cose straordinarie, nel fare miracoli, ma nel compiere straordinariamente bene le cose più ordinarie, mettendo in atto il primo e secondo comandamento di Gesù: l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. La santità consiste dunque nella pratica del vangelo tradotto giorno per giorno nella vita, nello stato proprio di ogni singola vocazione e missione. Il Signore ci chiama “figli santi” e vuole che lo ascoltiamo e cresciamo «come una rosa che germoglia presso un torrente» (Sir 39,13). Oggi celebriamo la memoria liturgica di S. Rita, una donna di tanti secoli fa, una delle sante più onorate, venerate e supplicate dal popolo di Dio, soprattutto per le situazioni ed i “casi impossibili”. La sua santità si è realizzata pienamente nel percorso variegato delle diverse tappe vocazionali della sua esistenza: figlia, moglie, madre, vedova, suora. In questo itinerario tra cose a volte ritenute impossibili, ha messo in pratica il vangelo, a cominciare dal dono della pace, invocato da Dio, seminato nel cuore dei suoi più vicini e raccolto come frutto straordinario di concordia e di bene. Quattro sono i segni che colgo dalla tradizione agiografica, che ancora oggi destano stupore e possono segnare un analogo percorso nella santità della condotta e nelle preghiere: le api che versano nella sua piccola bocca il miele dolcissimo dell’amore di Dio; il masso di pietra dura sul quale versava le sue lagrime con una preghiera ardente di contemplazione, compunzione e richiesta di pace per la sua famiglia e la tua terra; la spina della partecipazione alle sofferenze di Cristo sulla croce, sperimentata già nella sopportazione di un marito violento, e, poi in convento, con la conseguente emarginazione dalla comunità e dagli altri per via del cattivo olezzo della ferita sulla fronte; la rosa sbocciata per incanto in mezzo alle neve in pieno inverno, ossia la possibilità delle cose impossibili. La devozione del popolo di Dio per S. Rita, come nei confronti di qualunque altro santo o santa, deve necessariamente tradursi in emulazione decisa, convinta e perseverante. Non basta invocare i Santi nei momenti della necessità e del bisogno, chiedere la loro intercessione risolutrice per le problematiche e i disagi della vita, praticarne un culto devozionale esterno, se poi non ci si risolve con ferma volontà a seguirne gli esempi e come loro, a fare il bene ed evitare e respingere il male. A maggior ragione quando siamo consapevoli di voler vivere nella casa del Signore, alla quale si addice la santità per la durata dei giorni (Sal 93,5). In questa maniera realizzeremo sulla terra un “accampamento” di Santi, come dice l’Apocalisse (20,9) nella città amata dal Signore, la nostra terra, la nostra vita. E la santità non sarà più nostalgico retaggio del passato, ma attuazione presente, viva ed operante dell’amore del Signore che passa e si attua con la nostra risposta di altrettanto amore. P. Angelo Sardone