Mattutino di speranza
31 maggio 2020
La Sacra Scrittura spesso riporta episodi di straordinaria valenza umana, alcuni anche molto toccanti, che contengono insegnamenti imperituri e situazioni emotive e spirituali nei quali si rispecchia la nostra vita. Uno di questi che mi ha sempre colpito e coinvolto emotivamente fino alle lagrime, si riferisce a situazioni concrete che vivo come sacerdote immerso nel servizio pastorale ai laici. Si trova negli Atti degli Apostoli (At 20,13-38) e riporta le raccomandazioni a cuore aperto di S. Paolo ed il saluto d’addio alla comunità cristiana di Efeso, in Asia minore. Tre anni di lavoro pastorale, giorno e notte, avevano cementato oltre che una solida amicizia in Cristo, uno sviscerato amore dell’Apostolo nei confronti di quei primi cristiani ed i collaboratori in particolare, che lo avevano accolto, ascoltato, amato e considerato come un padre. Altrettanto amore egli aveva dimostrato per loro, senza tirarsi mai indietro anche nelle dure prove, reggendosi con le sue stesse risorse, operando prodigi, predicando, ammonendo con fermezza e dolcezza, annunciando la volontà di Dio e predicando la conversione. Consapevole della sua responsabilità, del grande lavoro fatto e prevenendo una situazione che poteva crearsi dopo la sua partenza, in forza di quanto con tanta fatica e lagrime aveva compiuto, dà le sue ultime raccomandazioni che sono di una straordinaria finezza umana e pastorale. Infatti mettono in guardia piccoli e grandi, dai «lupi rapaci che non risparmieranno il gregge», e da alcuni, anche buoni, che «sorgeranno a parlare di cose perverse, per attirare dietro di sé i discepoli». La vigilanza, la memoria di quanto egli ha fatto e di ciò che hanno ricevuto, il ricorso alla preghiera, saranno il metodo più efficace di prevenzione e di resistenza al male subdolo. Quante volte mi sono ritrovato in considerazioni e situazioni analoghe, in tanti anni di servizio sacerdotale e pastorale in ambienti e luoghi diversi, con persone e relazioni simili. Certo, non ho la tempra carismatica di Paolo Apostolo, non sono stato rapito al terzo cielo, né tanto meno ho la capacità di guardare l’oltre con i poveri miei occhi se pure accorti, ma solo pochi elementi umani di sudata conoscenza acquisita sul campo e nel rapporto giornaliero con Gesù Eucaristia, di intuizione perspicace, di prevenzione e forse un minimo di capacità di leggere oltre le righe e guardare oltre le immagini. Quanta sofferenza provo nel vedere persone raccolte dal fango, ripulite e rivestite di Grazia, avviate a più spirituale fortuna, ma ancora molto fragili per poter camminare da soli, sottrarsi volutamente alla cura amorevole e lasciarsi cadere nelle trappole diaboliche, col prurito delle sensazioni e della novità facile ed attraente degli strilloni di turno, del sensazionalismo estetico fisico e verbale, in una pseudo appagante felicità dal tempo limitato di una stagione. Cosa mi resta? L’affidamento di queste persone al Signore ed alla sua grazia, che ha il potere di edificare e di santificare, la preghiera costante umile e fiduciosa, la continuazione dell’accompagnamento vigile e forse nascosto ai loro occhi, ma noto a Dio, l’offerta giornaliera sull’altare insieme col pane e col vino. I membri della comunità di Efeso accompagnarono Paolo alla nave: piangevano, gli si gettavano al collo e lo baciavano addolorati perchè non avrebbero visto più il suo volto. Quante volte questo copione è stata ed è la mia vita, coinvolto emotivamente e fisicamente, con la volontà e il desiderio unico di fare e di volere il bene di tutti e di chi, ancor più misteriosamente, il Signore ha posto sulla mia strada e collocato dentro il mio cuore. Nella sua bontà il Signore mi ha sorretto, nel suo amore mi ha illuminato e guidato, nella sua fiducia mi ha dato un nome: «Sentinella» (Ez 3,16). Ed io voglio esserlo non solo del mattino, ma anche del giorno e della notte (Is 21,11-12). Chiedo a Gesù sommo ed eterno sacerdote la forza di portare quest’onere di paternità e di viverlo nell’oblazione fino alla morte. Chiedo allo Spirito consolatore la grazia di fare luce e verità in me, perché possa dare luce e verità agli altri e continuare ad essere mio malgrado, “portatore di luce, di perdono e di vita”. Chiedo a Maria il dono del suo silenzio e della custodia di ogni cosa nel cuore. Chiedo anche a te che mi ascolti o che mi leggi una preghiera perché tutto questo possa esserlo fino in fondo. Grazie. P. Angelo Sardone