La semina del mattino
1575. «Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori» (Is 53,10).
Con largo anticipo la Liturgia presenta oggi il «Servo di Jahwé» come rappresentato dal profeta Isaia nel cosiddetto «quarto carme del servo». Il motivo fondamentale è l’aggancio con la pagina evangelica nella quale Gesù parla apertamente della sua passione deplorando la comprensione non ancora matura da parte dei suoi apostoli che invece stavano pensando ai primi posti da occupare. Rimane un grande mistero il fatto che Dio Padre, mandando il suo Figlio nel mondo, abbia voluto da Lui il sacrificio cruento sulla croce col versamento del sangue, la morte infame, con un’abbondanza straordinaria di dolori fino alla sua prostrazione, unico ed insostituibile sacrificio. La bontà di Dio e la sua misericordia verso le creature era propiziata nel Vecchio Testamento, a cominciare da Caino ed Abele, dall’offerta delle primizie e dei capi del bestiame che in genere erano sgozzati e poi bruciati. Il ricongiungimento della terra e dell’umanità con Dio, offeso dalla colpa e dal peccato, necessitava di un qualcosa di più grande ed efficace. Nella sua Provvidenza Dio aveva stabilito che solo il sangue del suo Figlio avrebbe potuto favorire una cosa simile. Naturalmente il tenore del linguaggio altamente lirico e teologico del canto non deve trarre in inganno. Non si deve intendere che Dio ha provato quasi piacere disumano nel caricare Cristo suo Figlio di dolori fino a renderlo quasi un «verme». Nel disegno di Dio questo avvenimento che ha sconvolto il mondo, sarebbe stata la manifestazione più grande dell’amore salvifico verso un’umanità della quale Cristo stesso aveva assunto la natura. I suoi dolori e la sua offerta hanno davvero salvato il mondo! P. Angelo Sardone