Mattutino di speranza
Giovedì 28 maggio 2020
La celebrazione quotidiana della S. Messa per il sacerdote è un valore insostituibile, anche se non vi fosse il concorso dei fedeli. Così sentenzia il canone 904 del Codice di Diritto Canonico, «lo strumento per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale del cristiano, sia nell’attività stessa della Chiesa» (S. Giovanni Paolo II). Infatti, come afferma il decreto del Vaticano II Presbiterorum Ordinis sul ministero e la vita sacerdotale, nella celebrazione dell’Eucaristia, «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo» (PO 5). Senza Cristo non c’è Chiesa, non c’è vita. In questi ultimi mesi falcidiati dalla pandemia e dolorosamente segnati da prescrizioni e rigide normative che hanno impedito la partecipazione comunitaria alla celebrazione eucaristica sia giornaliera che festiva, tutti abbiamo sofferto ed anche pianto. Noi sacerdoti per primi, vedendo i banchi vuoti, la chiesa chiusa, e ripetendo “Il Signore sia con voi… fratelli e sorelle”, a persone che solo virtualmente erano presenti e che partecipavano con lo stesso stato d’animo, attraverso i canali della comunicazione in tempo reale. Ho pensato al profeta Gioele e ad una sua affermazione quanto mai attuale: «Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: Perdona, Signore, al tuo popolo» (Gl 2,17). Spesso, pur sapendo bene che la Messa è l’azione sacra per eccellenza, che ha un valore universale e non è mai un fatto privato anche quando il sacerdote la celebra senza il popolo, pensando a te, ho pianto. Le mie lagrime hanno bagnato i manuali della tastiera e si sono mescolati con l’acqua ed il vino nel sacro calice. I sospiri si sono integrati con la mia voce sostenuta dalle note armoniose dell’organo che riempivano il grande e vuoto volume dell’aula liturgica, e che sono tornato a suonare ogni giorno dopo diversi anni. Mentre calcavo la pedaliera, immaginavo di tornare a percorrere le strade e a dare espressione all’apostolato pastorale e vocazionale che da sempre caratterizza il mio sacerdozio. Ma pensavo anche al disagio, alla commozione, al bisogno del nutrimento eucaristico, al dolore ed alle lagrime di tante persone che dovevano accontentarsi di partecipare virtualmente alla S. Messa, cibandosi unicamente della ricchezza della Parola di Dio, creando una intimità di rapporto con il santo tabernacolo o l’ostensorio che anche il Papa adorava al termine della Messa mattutina. Poi, per fortuna, la cosa si è allentata e siamo tornati, seppure con tutte le cautele e le altre rigide norme imposte, a calcare le nostre chiese e a partecipare alle liturgie. L’assemblea eucaristica è tornata di nuovo, nonostante il distanziamento e le restrizioni numeriche ad essere il centro della comunità dei cristiani presieduta dal sacerdote. Le lagrime di dolore si sono trasformate in lagrime di gioia. Ho pensato, non solo per me che ci rifletto e me lo ripeto ogni giorno, ma anche per i fedeli laici, adulti e giovani, a quell’eloquente adagio che spesso si trova affisso nelle sagrestie: «Celebrerò questa Messa come se fosse la mia prima Messa, come se fosse l’ultima Messa, come se fosse la mia unica Messa». In essa, infatti, io offro la vittima divina a Dio Padre ma anche, in unione con questa vittima, offro la mia vita e quella di coloro che il Signore mi ha affidato come pecore del suo pascolo, spighe della sua messe, acini del suo grappolo. Mi rendo conto sempre di più che il compito del sacerdote, il mio compito, soprattutto con la celebrazione eucaristica, con l’amministrazione dei sacramenti, la testimonianza della vita, l’oblazione completa del mio tempo, della mia vita e del mio amore a Dio ed ai fratelli, non finisce e non finirà mai, perché andrà oltre la morte. Come Gesù anche io prima o poi dovrò dire: “Tutto è compiuto”, “Nunc dimittis”, “ora lascia che il tuo servo vada in pace”. Oggi, però, voglio dire, e lo dico con verità e profonda commozione a tutti quelli che Dio mi ha affidato e ad alcuni in particolare che sento come un dono misterioso di Dio, perle preziose depositate da Dio nello scrigno del mio cuore, dei miei pensieri, dei miei affetti e dei miei interessi “Io sarò con te, sempre”. Questo mio amore è fedele, anche quando tu non mi pensi, anche se tu dovessi chiudermi nei tuoi passati ricordi senza nostalgia e senza ritorni, anche se posso aver sbagliato, anche se sono e rimango un povero prete che spinto da un amore irrefrenabile, mi getto nelle imprese che riguardano unicamente la gloria di Dio ed il bene delle anime. Io ci sarò sempre. La mia fede, infatti, e il mio sacerdozio, è la mia stessa vita. P. Angelo Sardone