Mattutino di speranza, Sabato 23 maggio 2020.
La vita dell’uomo sulla terra è un esodo continuo, solitario e di massa. A maggior ragione lo è per un giovane battezzato che nel tracciato del suo cammino ha già l’indicazione della meta, la felicità, la salvezza ed il Paradiso, ed i mezzi per raggiungerla, l’amore, Gesù Cristo, la Chiesa, i sacramenti. Espulso dal grembo materno, laddove già è avvenuto il fondamentale rapporto di dipendenza e di empatia emotiva ed affettiva con la mamma che l’alimenta, lo custodisce e lo protegge, il bambino comincia il suo itinerario di vita alimentato ed accompagnato dai genitori. Con la prima autonomia e l’uso della ragione, egli si rende conto di essere in grado di stare in piedi, di poter camminare da solo ma non ha ben chiaro l’orientamento di cosa fare e dove andare. Molta importanza hanno per lui l’educazione, la formazione iniziale, i condizionamenti, gli stili di vita appresi in casa, le abitudini degli adulti, i modelli comportamentali in famiglia, a scuola, in parrocchia, nella società ed i suoi luoghi di relazione. Sulla tavola della sua mente pian piano si scrivono ed incidono in profondità gli elementi che condizioneranno in futuro la sua esistenza, nel bene e nel male. Inconsciamente, mentre assume i modi di fare che lo proiettano in potenza uomo e donna di domani, viene condizionato nel bene e nel male da tutto ciò che vede, sente, respira e vive in famiglia. Qui si forma in maniera serena ed adeguata; qui a volte è sopraffatto da un affetto che non gli fa mancare nulla di quanto chiede, e colma le assenze genitoriali per motivi lavorativi o di narcisistica realizzazione; qui non sempre è compreso nelle sue esigenze più profonde di affetto, mascherate dal silenzio, dal viso triste, dai capricci frequenti, dal vizio nascosto, dalla connessione informatica giorno e notte con paradisi virtuali spersonalizzanti e pericolosi. Quante volte nel mio servizio pastorale e sacerdotale mi sono imbattuto in giovani che accusano il loro profondo disagio esistenziale ed affettivo che li ha portati per strade buie, perché desiderosi di una carezza delicata, di un tempo maggiore di ascolto, di un “ti voglio bene” in più, di una cura ed attenzione che vada ben oltre una semplice espressione verbale, un cibo nutriente o un costoso regalo, facile alibi di disimpegno morale che vuol mettere a tacere la responsabilità più o meno grave di un genitore. Le manifestazioni di una potenzialità intellettiva ed operativa o di carenze più o meno gravi, si rivelano nella misura in cui, soprattutto nella pubertà e nell’adolescenza, si comincia ad esternare con le parole ed ancor più con le azioni, le esigenze di realizzazione ed i vuoti da colmare, soprattutto quelli affettivi, con la conseguente ricerca di un compenso adeguato. L’innocente ricerca di tutto ciò che è bello, vero, misto ad una auto-compiacenza psicologica ed affettiva, fa da traino nel percorso scolastico ed accademico e nel tessuto delle relazioni sociali. L’introduzione alla vita spirituale ed alla ricezione dei sacramenti segna il passo col binario della crescita fisica, culturale e scolastica, affettiva e relazionale, che si realizza nella società che ha le sue leggi, a volte ferree, i suoi spazi non sempre liberi e le sue deficienze talora mascherate da parvenza di bene, di facile successo, di congruo appagamento. Si impone allora il discernimento come mezzo indispensabile per comprendere ed orientarsi. Molte volte in maniera facilona si assecondano i moti propulsivi del carattere, le esigenze naturali ed istintive dello sviluppo fisiologico; meno frequente e non sempre a tutti, è riservato un orientamento serio, maturo, anche spirituale, accompagnato da uno sguardo maturo e competente da parte di genitori, educatori, formatori, di qualche buon prete o guida spirituale. Quanto è difficile l’educazione, un’arte così grande e delicata affidata alle mani più inesperte! E poi ci si avvia. La strada che è davanti guarda alla meta non sempre vicina e visibile. Gli itinerari sono molteplici come diverse sono le vie di percorrenza: il viottolo, il sentiero alberato, la via sterrata e pietrosa, l’autostrada, l’illusione di poterla raggiungere con i mezzi meno faticosi e le strade più comode. Lungo il cammino si soffre la fame, la sete, si ha bisogno di pane, di carne, di acqua cose che non sempre si trovano a portata di mano ma che bisogna cercare. La presenza del Mosè di turno a volte riesce anche fastidiosa, perché ricorda la presenza di Dio che guida il cammino di giorno e di notte e lo provvede di tutto ciò che è necessario. La divinizzazione degli idoli, i vitelli d’oro costruiti dentro e fuori per l’intelligenza preponderante, la bellezza prorompente, la noia dell’ordinario, lascia delusi ed apre dinanzi voragini imponderabili di perdita di senso e di inesorabile perdita di se stessi. Alla meta alla fine si giunge spogliati di se stessi e con una nuova identità che l’età, l’esperienza, la sofferenza, hanno forgiato in maniera ormai indelebile. Si ricordano i momenti bui nei quali responsabilmente i piedi sono finiti sul bagnato e si sono sporcati nella melma, quando le emozioni si sono rivelate fragili ed inconcludenti, quando gli altri hanno approfittato con vergognosi calcoli egoistici, ma anche quelli belli laddove il raggio di sole scomposto nei colori dell’arcobaleno di situazioni, esperienze, cammini alla ricerca di sé, spiritualità, ha asciugato le lagrime, ha portato calore, luce, sorriso e vita. Ci si rende conto allora che il cammino, anche quando non ci ho pensato, è stato fatto portando un pezzo più o meno pesante di croce, da solo o con l’aiuto di qualche misterioso cireneo, pieno di compassione, imposto o donato da Dio. P. Angelo Sardone